giovedì 27 febbraio 2014

Un prato verde...

Quante sfumature di verde in un prato di campagna....
E quanti modi di dire legati al verde ...Verde speranza , sono al verde, anni verdi, verdi pensieri, un mare verde, ecc , ecc...


Tutti vorremmo avere un prato su cui correre e giocare ,su cui potersi rotolare.

Sembra solo una distesa verde, da lontano , ma se  ti distendi sopra , quanti profumi e quante vite ci brulicano dentro!

E' come entrare in un mondo segreto dove ogni pianta , ogni fiore ha una sua funzione . Non è  il prato verde e finto delle ville di città. No ... Assolutamente no!


Qui tutto è vita! Tutto si rinnova e si espande... il respiro si dilata, la mente si rilassa ed il corpo torna ad essere docile, appagato, in quel contatto fatto di terra umida e verde...(speranza)



martedì 25 febbraio 2014

MI PIACE




Mi piace il suono delle campane e il raggio del  mattino . 
La pioggia leggera ed  il cielo azzurrino
 Mi piace il vento tra i capelli ed il canto degli uccelli .
Mi piace la rosa e la margherita,  un nuovo libro ed una  buona cucina.

 Mi piace la purezza dei fiori e la sincerità dei cuori. 
Una pagina bianca ed una penna blu.
 La semplicità se non rasenta la banalità.
Mi piace la poesia , e chi ha tanta fantasia.
 Mi piace la grazia e l'umiltà ,  non disdegno però la vanità, quando ha tanta personalità.

 L'ignorante e il dotto 
Mi piace il riso e mi piace il pianto,
 il silenzio, ma anche la compagnia .
I colori e la monocromia
   Mi piace la mattina e mi piace la sera 
il fuoco nel camino e l'estate piena
la tavola imbandita o il desco frugale
che  importanza ha , se hai   amici con cui  condividere e parlare 
Nuove terre  da vedere e da  esplorare e  a casa mia , sempre, sempre, ritornare.

Mi piacciono gli opposti e le contraddizioni,
c'è più pathos nelle conversazioni!
L' agire  libero ed il libero pensare . Capire, che ci si può anche sbagliare.
 L'angoletto per trovare il mio "io". I grandi spazi per conoscere Dio. 
Mi piacciono i vasi sul davanzale
mi piace  l'erbetta da calpestare.
Mi piace la vita  d'assaporare  
e la morte d'allontanare





domenica 23 febbraio 2014

Una ventata d'aria nuova

 Lentamente si avvicina la  nuova stagione , mi concedo un tocco di colore . Quale fiore potevo scegliere se non una primula...Foriera della primavera?
Foriera di nuovi propositi e di nuove emozioni?
Nel linguaggio dei fiori rappresenta il recupero delle energie della giovinezza.  E  visto che stiamo per uscire dall'inverno , mi sembra davvero un ottimo auspicio ...già mi sento carica!


giovedì 20 febbraio 2014

Saper riconoscere l'amore...



Prenditi cura ... Dai amore e tutto,  prima o poi fiorirà, ne sono certa! 
L'amore si percepisce, è il concime della nostra vita.
 Chi non è in grado di percepire o riconoscere l'amore che gli viene offerto non fiorirà mai: rimarrà come quei boccioli  avvizziti sullo stelo.
 Non avranno mai la spinta necessaria ad aprirsi. La loro linfa ad un certo punto s'inceppa.
Credono di aver portato a termine il compito per i quali sono stati creati, ma così chiusi su se stessi si  rattrappiscono, mortificando il loro splendore. 
 Nessuno vedrà mai la loro bellezza, perchè non hanno saputo riconoscere l'amore e quella mano che AMOREVOLMENTE li aiutava a crescere


Avete un' orchidea (probabilmente una Phalenopsis) e volete godervi il più possibile la sua lunga fioritura? Bene: sappiate che adora la luce (ma non i raggi diretti del sole, che ne ustionerebbero le foglie) e l'umidità. Collocatela dunque nelle vicinanze di una finestra, lontano da caloriferi. Non sapete quando e quanto bagnarla? Sollevate il vaso: se lo sentite leggero significa che la corteccia al suo interno è asciutta. Trasferite la pianta nel lavandino e bagnate abbondantemente. L'acqua versata nel vaso passa velocemente attraverso i pezzetti di corteccia fuoriuscendo immediatamente dai fori sotto il vaso. Per questo dovete continuare a versarne finché la corteccia si sarà impregnata per bene e il vaso sarà diventato bello pesante. E quando tutti i fiori saranno caduti? Recidete lo stelo fiorale solo se la cima vi sembra un po' rinsecchita e tendente al giallo. Se è ancora verde e turgida portate pazienza e non scordatevi di innaffiare: si formeranno nuovi boccioli. Infine una piccola dritta: non tutti sanno che per rifiorire la maggior parte delle orchidee ha bisogno di sentire lo sbalzo di temperatura tra il giorno e la notte. Infatti temperature costanti le mandano in letargo, arrestando crescita e fioritura. Per questo, appena arriva la primavera, mettete la vostra pianta in un angolo del balcone riparato dal sole e innaffiatela regolarmente. La ritirerete in autunno, in tempo per vederla di nuovo in fiore.


domenica 16 febbraio 2014

La pittrice del sublime.

Olga Wisinger - Florian famosa pittrice austriaca
 I suoi primi dipinti fanno parte del particolare Impressionismo austriaco, caratterizzato dalla ricerca del «sublime» nella rappresentazione della natura.





Giardino contadino in fiore

Nella luce di questo lussureggiante giorno di primavera, canta, poeta, di chi passa oltre e non si ferma, di chi ride correndo via, senza guardare indietro… Non sedere in silenzio, a recitare la litania delle tue lacrime e dei tuoi sorrisi passati, non fermarti a raccattare i petali dispersi nell’ultima notte, non andare in cerca delle cose che ti sfuggono, per conoscere significati oscuri, entra nel giardino della tua vita, nel sentiero fiorito dei tuoi giorni dove la musica può nascere dalla loro profondità…

(Rabindranath Tagore)

martedì 11 febbraio 2014

Ripetitività



Oggi ho dato una bella sfogliata al mio blog, da quando ho iniziato , ben 5 anni fa, ad oggi.
  Sembra ieri, invece il tempo è  è volato via. Le piante sono cresciute, alcune non ci sono più ed altre sono da recuperare. Proprio come nella vita  di noi uomini.
 Scorrendo le immagini ho notato il susseguirsi delle stagioni con relative foto e l'alternarsi di stati d'animo. 
 Tutto ciò mi ha dato la conferma della ripetitività della vita, dei cicli, dell'eterno va e vieni .

 E allora mi sono posta la domanda... non si rischia di diventare noiosi e ripetitivi?
 Non si rischia di non trovare più attrattive nel piccolo mondo in cui ci si gira?
Non sarà che cercando la bellezza in ogni sua sfaccettatura,si diventa un pò banali?
Diceva.Carl William Brown
La ripetitività è banale, infatti se risentite le solite stupide cose per migliaia di volte non imparerete certo nulla di nuovo.

Il tempo non può assolutamente essere banalizzato, perché rischieremmo di banalizzare la nostra stessa esistenza, il che vuol dire rischiare di vivere inconsciamente, ciecamente, vanamente, banalmente!
 



da PensieriParole

sabato 8 febbraio 2014

Il mio "AMICO" Monet


Monet giardiniere

«Il giardinaggio è un’attività che ho imparato nella mia giovinezza quando ero infelice. Forse devo ai fiori l’essere diventato un pittore». Claude Monet si lascia andare a questa insolita confidenza negli anni della maturità, quando la sua vista declina. Cresciuto in un paesino a nord di Le Havre, sulla costa normanna, in una famiglia costretta ad affittare stanze per far quadrare il bilancio, ha iniziato giovanissimo a ritrarre il paesaggio circostante su album da disegno. Eugène Boudin, appassionato da scene marine, lo incoraggia a dipingere all’aria aperta. Monet sostiene che con Boudin «i miei occhi si sono aperti e ho veramente capito la natura». Stoico, impervio al sole e al gelo, il pittore trascorre giornate intere a osservare i cambiamenti della luce riflessa sul mare, sulla facciata di una cattedrale, su un covone di grano, su un paesaggio innevato.
In piedi prima dell’alba, pensa che dipingere il giardino che ha creato, attorno alla casa rosa di Giverny, sia «un atto di fede, un atto di amore e di umiltà». Quando inizia a concepire quello che è oggi il giardino più visitato al mondo, in Occidente, per la sua estensione, Monet ha ambizioni modeste. Vuole coltivare dei fiori da ritrarre quando fuori fa cattivo tempo. Mette a dimora semi, bulbi e piantine da solo. I suoi figli annaffiano alla sera. Il critico d’arte Octave Mirbeau lo descrive bruciato dal sole, in maniche di camicia e felice, «le braccia ricoperte di fertile terra nera». Fa demolire in parte gli alti muri che circondano la proprietà per far spaziare la vista sulla valle della Senna e sulle colline circostanti.
L’acquisto della casa di campagna a 50 chilometri a nord di Parigi, in Normandia, coincide con l’impennata dei valori delle tele dipinte da questo “impressionista” reduce da anni di ristrettezze economiche. Dice. «Dipingo quello che vedo, dipingo quello che ricordo e dipingo quello che sento». Monet, dopo aver provveduto alle necessità della sua famiglia numerosa e allargata, concentra le sue energie e le sue risorse economiche nella creazione del suo giardino. «L’uomo che a Parigi sembra laconico e freddo è completamente diverso qui: gentile, sereno, entusiasta. . Nel suo giardino, fra i suoi fiori, emana benevolenza. Per mesi di seguito, l’artista si dimentica dell’esistenza di Parigi; i suoi gladioli e le sue dalie lo sostengono con la loro superba raffinatezza – e fanno sì che lui si dimentichi della civiltà».
Prima di acquistare la proprietà di Giverny, Monet è già un giardiniere esperto. Ha coltivato fiori e piante in varie case affittate, con spazi all’aria aperta. A Vétheuil, su una ripa scoscesa che scende verso la Senna, mette a dimora girasoli gialli e nasturzi arancioni. Il pittore ama il contrasto di questi colori caldi con il blu del fiume e l’azzurro del cielo primaverile.. Il futuro creatore di Giverny è chino su dei fiori rossi, forse dei papaveri o dei gerani. Accanto, sull’erba, c’è un grosso innaffiatoio grigio. Claude Monet, ispirato da J. M. W. Turner, dimostra in una tela di rara bellezza come «Prima Colazione» (1873) la capacità di ritrarre i giochi di luci e ombre e i contrasti di colore nella scena che si svolge in un giardino inondato dal sole al mattino.
Attento osservatore della natura, Monet è un camminatore instancabile. Lo incanta un prato dove fioriscono papaveri rosa e rossi, sullo sfondo di cespugli di salvia grigio argento. Le vibrazioni della luce sull’acqua, l’effetto generato dalla foschia in un giorno caldo e umido, il lieve scompiglio creato da una brezza nel fogliame: Monet contempla per tutta la vita il mondo che lo circonda, attento alla minima variazione, al più piccolo cambiamento. Dichiara una volta che solo due cose lo appassionano: «la pittura e il giardinaggio».
Acquistata nel 1890, la proprietà di Giverny finirà per consistere in tre aree distinte. Il giardino dei fiori, detto Clos Normand, nasce di fronte alla facciata della casa. Al di là della ferrovia, in un terreno paludoso, il pittore crea, a fatica e dopo essersi scontrato con le autorità locali, il suo giardino acquatico dove metterà a dimora le ninfee. L’orto e gli alberi da frutta vengono coltivati in una proprietà separata, la Casa Blu. Ogni settore occupa all’incirca un ettaro di terra. Quando Monet si insedia nella casa con la seconda moglie Alice Hosched, i figli di lei e i suoi due figli, un frutteto composto da meli e pruni, vecchi e malandati, circonda l’edificio. Il pittore decide di far abbattere alberi per creare un giardino composto esclusivamente da fiori. All’epoca era un’idea innovativa e bizzarra. Secondo Derek Fell, autore di quello che è forse il libro più istruttivo su quest’opera: «The Magic of Monet’s Garden» (Buffalo, NY, 2007), il lavoro inizia con l’arrivo di carrettate di terra di buona qualità, di letame e della torba necessaria per contrastare l’alcalinità del terreno e creare l’humus leggermente acido di cui Monet ha bisogno per ottenere ricche fioriture.
Col tempo e con l’esplosione della sua passione botanica, Monet assume un giardiniere capo e fino a otto assistenti. Se è in viaggio, il pittore manda istruzioni per lettera: «Piantate 300 vasetti di papaveri, 60 vasetti di piselli odorosi, 60 vasetti di argemone (papaveri bianchi spinosi) e 30 papaveri gialli. In serra seminate la salvia blu e le ninfee. Mettete a dimora dalie e iris palustri… Se arrivano le peonie, mettetele subito in terra, se il tempo lo permette, ma fate in modo di proteggere i butti dal gelo e dal sole. Potate – non permettete alle rose di estendersi troppo a parte le varietà più antiche e spinose. A marzo seminate l’erba, dividete le piantine di nasturzio, e abbiate cura delle gloxinie e delle orchidee nelle serre calde e fredde. Piantate i parterre come stabilito. Mettete i fili di ferro per far salire le clematidi e le rose rampicanti. Se fa brutto tempo fate stuoie di giunco, ma meno spesse dell’altra volta. Piantate i getti delle rose del giardino acquatico nello stallatico attorno al pollaio. [...] piantate immediatamente i girasoli perenni e attivate la rinascita dei crisantemi». È piuttosto raro che Monet sia lontano da Giverny quando arriva la primavera. Invita gli amici in un giorno preciso perché ammirino nel momento più favorevole la fioritura degli iris barbati piantati in massa. Oggi il giardino ricreato ospita più di centomila tipi di piante.
Claude Monet si occupa di Giverny per quarant’anni. Lo modifica, lo espande, ma prima di aggiungere una nuova specie botanica al giardino, la mette a dimora nei parterre creati apposta, vicino alla serra, per vedere se lo soddisfa, se gli piace. Legge cataloghi di bulbi e sementi e riceve tutte le riviste specializzate in giardinaggio. Nella sua biblioteca ci sono molti volumi dedicati alla coltivazione delle piante e al paesaggismo. Tiene i contatti con molti vivaisti specializzati. Per gli effetti pittorici che insegue senza tregua, predilige i colori forti e brillanti nelle sue aiuole. Ancora oggi a Giverny le piante vengono messe in terra molto ravvicinate, per ricreare l’originario ammasso di generose fioriture. I tulipani rossi, rosa, arancioni e gialli annunciano l’arrivo della primavera. Fioriscono i ciliegi giapponesi, i lillà e le digitali. Seguono gli iris barbati blu, azzurri e viola. D’estate si schiudono i gladioli nelle tonalità rosso, giallo e arancione, con i phlox, i cosmos, le hemerocallis, gli eremurus, i verbaschi e la cleome hassleriana. Monet ama i gigli, soprattutto la varietà giapponese profumata, il Lilium auratum. Le dalie rosso fuoco fioriscono fino all’autunno inoltrato, quando sbocciano gli aster e i crisantemi. Si è detto a lungo che Monet non voleva ibridi e fiori doppi nei suoi parterre, ma in realtà tutti i suoi tulipani erano ibridi, come le rose, gli iris, i gladioli e le ninfee. Il pittore è disposto ad andare in Olanda e in Inghilterra per osservare le nuove creazioni degli ibridatori. Vuole essere il primo a utilizzare una nuova sfumatura o una nuova combinazione di colori. Usa fiori bianchi, come le margherite, i myosotis e gli Hesperis matronalis per far risaltare i fiori dalla tinta più vivace. Ama i fiori semplici, perché i petali lasciano passare la luce, ma apprezza anche l’impatto creato dalle voluminose infiorescenze delle dalie “Cactus”.
Dalle passeggiate sulle colline che circondano la sua proprietà, l’artista riporta semi di fiori selvatici, che getta nelle aiole. Considera papaveri dei campi, primule gialle, violette, margherite, fiordalisi e digitali «l’anima del giardino». La dissonanza cromatica eventuale non lo disturba. Mira all’effetto pittorico. Giverny non è stato creato in un solo giorno. Ha richiesto pazienza, errori, mutamenti, ragionamenti. Nella ricerca degli accostamenti di colori che gli danno maggiore soddisfazione, Monet trova una fonte di ispirazione negli scritti della paesaggista inglese Gertrude Jekyll. Sofferente anche lei di problemi alla vista, la Jekyll ha lavorato tutta la vita sugli accostamenti cromatici che funzionano meglio negli spazi coltivati dall’uomo. Sugli archi di ferro che dissemina nel suo giardino, Monet fa arrampicare clematidi azzurre e nasturzi rampicanti gialli e arancioni. Accosta rose rosse “American Pillar” e clematidi di un blu tendente al violetto. Mischia il giallo pallido dei fiori di caprifoglio al rosso rubino delle rose “Blaze”. Monet ama i contrasti: giallo e viola, arancione e blu, rosso abbinato al rosa e al verde. Sperimenta anche con il bianco e il nero, il nero e l’arancione e le piante a foglia grigia per far risaltare il contrasto fra il rosso e il verde. Per il “nero” usa piante come il tulipano, la scabiosa, le viole e gli iris in tonalità viola molto scuro. Con la cateratta che limita la sua capacità di osservare i dettagli, il pittore mira a creare masse di colore che catturano la luce, riflettendola. È la creazione di una vibrazione, di un bagliore, il tremolio creato dalla luce a interessare Monet.
Nel Clos Normand viene messa a dimora una quantità impressionante di piante. Campanule crescono all’ombra di prunus ornamentali, narcisi fioriscono sotto ai meli da fiore, ortensie, malvoni, verbaschi e lupini crescono sotto ai lillà. Ai nasturzi, le amate “capucines”, è permesso invadere il largo sentiero di ghiaia che porta alla casa, ombreggiato da un pergolato ricoperto di rose rampicanti. Peonie e papaveri orientali svettano nei parterre. La penombra è adatta alle primule candelabro, ai rododendri, all’Erysimum cheiri. I fiori di cosmos, i gigli, i delphinium, le piante di lavanda e i gerani rossi contribuiscono all’allegria estiva. Dopo lunghe discussioni, Monet riesce a convincere la seconda moglie, Alice Hoschedé, a tagliare gli abeti e i cipressi che tolgono luce al giardino. Le peonie, che all’inizio vengono coltivate separatamente, come fiori da taglio per riempire i vasi in tutta la casa, si spostano nei parterre. Sono forse il primo segno della passione che nasce in Monet per i giardini giapponesi.
IL GIARDINO ACQUATICO - Dopo dieci anni trascorsi a inventare le Clos Normand, e a ritrarre su tela col suo tocco rapido le abbondanti fioriture in colori primari, Claude Monet rivolge la sua attenzione al terreno che si trova in fondo alla proprietà, oltre alla ferrovia. Compra la terra intrisa di umidità e decide di creare un giardino acquatico. Non è un’impresa facile. Il pittore, che in quel momento ha 53 anni, deve deviare il corse di un fiume, il Ru, per far entrare acqua fresca e ossigenata nello stagno. Chiede il permesso alle autorità locali per costruire due ponti di legno e istallare una pompa che, promette, non abbasserà il livello dell’acqua del connesso fiume Epte. Monet garantisce anche che intende solo coltivare piante acquatiche. Gli abitanti di Giverny sono sospettosi. Temono che le ninfee e gli altri cultivar esotici che l’artista vuole mettere a dimora si propaghino nei letti dei fiumi circostanti, avvelenando l’acqua. Dopo un rifiuto iniziale, Monet chiede di nuovo il permesso di creare un giardino «che delizi gli occhi» e che provveda a fornirgli «soggetti da dipingere». Il giornalista C. F. Lapierre, molto influente nella regione, lo appoggia con una campagna stampa. Il prefetto cede e Monet ottiene il permesso di iniziare i lavori. Nasce così lo stagno, che poi verrà notevolmente ingrandito. Intorno allo specchio d’acqua, salici piangenti dai rami ricadenti, bambù, ciliegi ornamentali giapponesi, ginkgo biloba si aggiungono ai pioppi e alle betulle già esistenti. Viene creato un sentiero serpeggiante lungo la riva, bordato da eriche, rododendri, kalmie, felci, azalee e ortensie. Le radici delle ninfee sono collocate in basi di cemento sul fondo del laghetto, perché le piante non dilaghino, diventando infestanti. Monet le considera comunque troppo numerose e le fa sfoltire regolarmente. Le foglie impediscono all’artista di vedere la luce riflessa nell’acqua, che diventerà un motivo dominante nei quadri dipinti degli ultimi anni. Ormai c’è un giardiniere che si occupa solo di questo nuovo spazio. Il ponte è di chiara ispirazione giapponese. Ma invece di dipingerlo di rosso corallo, come i ponti che si vedono nelle stampe di Hokusai e di Hiroshige, lo fa tinteggiare di un verde brillante. In un secondo tempo crea una pergola sopra al ponte, coperta di glicini viola e bianchi. Nel corso degli anni il bosco circostante si arricchisce di nuovi alberi: cotogni giapponesi, ontani, tamerici, agrifogli, frassini. Nella penombra vengono messi a dimora cespugli di lamponi, agapanthus, lupini, rododendri e ciuffi di erba della Pampa.
Affascinato dalle potenzialità di questo nuovo luogo, silenzioso e tranquillo, Monet lo osserva a lungo, lo lascia evolvere, prima di iniziare a ritrarlo su tela. «Mi ci è voluto molto tempo per capire le mie ninfee. Le avevo piantate per il gusto di piantarle, e le ho coltivate senza pensare di ritrarle… Non si assorbe un paesaggio in un solo giorno», dichiara il pittore. Chiamando i suoi primi quadri «impressioni», ha dato il nome al movimento che ha cambiato la storia dell’arte nella seconda metà dell’Ottocento in Francia: l’Impressionismo. Monet arriva al laghetto prima dell’alba. Insiste con gli amici perché lo vedano prima del tramonto, quando si chiudono i fiori di ninfea. Compra una barca di legno, che poi munisce di una tettoia, per scivolare sull’acqua. Dipinge dalla barca, legata a terra da una corda. O da terra, con vista sul ponte e sul suo riflesso che rende l’immagine perfettamente circolare. La figliastra Blanche, che ha curato lo spazio verde dopo la scomparsa del pittore, ha scritto che, per Monet, il giardino «era l’unica distrazione dopo la fatica e l’impegno spossante che metteva nella sua pittura».
 Nel 1914, quando scoppia la prima guerra mondiale, i suoi giardinieri lo abbandonano.
La sua vista è compromessa e soffre di enfisema. In pieno conflitto, nel 1916, costruisce uno studio per terminare le sue ninfee. Si mette all’opera e crea pannelli, chiamati Grandes Décorations, che ammutoliscono chi li contempla, con la loro trasognata magia. Durante la guerra rifornisce di verdura fresca l’ospedale per soldati feriti di Le Prieuré. Al termine del conflitto Monet promette di regalare le sue ninfee al governo francese. I suoi giardinieri sono tornati. E lui si raccomanda, mentre liberano il suolo dalle erbacce: «Controllate che la terra di compostaggio sia diventata soffice e friabile».
Quasi cieco, lavora alle ninfee fino al 1925, fra dubbi, ripensamenti e momenti di sconforto.  Claude Monet si spegne il 5 dicembre del 1926. Lascia scritto: «Seppellitemi come un uomo del posto. Voglio solo parenti dietro al feretro. E soprattutto ricordatevi che non voglio né fiori né corone al mio funerale. Sono onori vani. Sarebbe un sacrilegio fare razzia dei fiori del mio giardino per un’occasione del genere».


giovedì 6 febbraio 2014

"Fare posto"

 A volte abbiamo nel cuore un posto vuoto che vorremmo fosse riempito da persone  capaci di entrare nel nostro cuore e inondarci di quella luce particolare  che solo un incontro di anime può dare.

La comunicazione  tra "anima ed anima"è  un vero arricchimento per entrambe, un accumulare tesori che nulla hanno a che vedere col il denaro, ma che rendono prezioso  e benedetto il tempo  loro dedicato.
Purtroppo non sempre quel posto viene occupato, tutto rimane superficiale e il nostro sentire viene ricacciato nel buio dal quale è emerso .

sabato 1 febbraio 2014

Il mare d'inverno



Il mare dentro
Magico Momento
in cui Mare e cielo si abbracciano
 dipingendo il creato con mutevoli colori.
Respira piano il vento, col suo alito caldo ,
 è Musica , penso...
Musica leggera per il mio orecchio,
 da troppo tempo avvezzo ad ascoltare cori.

Qui, fra cielo e mare,
 la voce del mondo si fa afona ,
non duole più il quotidiano affanno.
Sento solo il mio mare , mi scende lentamente dentro.

Mi manca la parola in tal momento.
Muto diventa il vento.

Ma poi , malinconia mi coglie .
Incalzanti  allora, diventan  l' onde,
il mio cuore come un mare mosso.

Sconquassato  d' alternanti  contraddizioni,  
d' orgoglio ed umiliazioni,
da rimorsi , rancori ed audaci  decisioni...

 Indecifrabili moti , inspiegabili giri.

 Lo so,  ho il mare dentro , si agita ad ogni vento 
non c'è posto sicuro al mondo, credo.
Ma forse mi sbaglio ,
si troverà nel cielo.

(una mia poesia)



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